Il mondo che vorrei

Ciao a tutti! Chiaramente, volendo spaziare in tutti i campi, con un titolo del genere potrei riempire qualcosa come 10 risme di A4 da 500 fogli. Siccome però martinquails.com è uno spazio dedicato all’ornitologia, in questo post mi concentrerò su questo aspetto, anche se non mancheranno i miei soliti voli pindarici (che adoro!). Detto questo, in questo post vorrei affrontare diverse questioni che mi toccano particolarmente, tutte incentrate sul modo in cui attualmente noi umani ci rapportiamo al mondo animale, soprattutto quello aviano, e il modo in cui DOVREMMO E POTREMMO rapportarci con esso per un mondo migliore, sia per noi, sia per gli (altri) animali.

Precisazione: siccome per la scienza anche noi umani siamo animali al 100%, ogni volta che si parla di animali non umani dovremmo dire “gli altri animali”, e non semplicemente “gli animali”. D’ora in poi, per semplicità, nel discorso userò di proposito il modo sbagliato, lasciando il pronome “altri” implicito.

Ok, iniziamo dalle origini, con l’addomesticazione.

In biologia, l’addomesticazione (o addomesticamento) è il processo attraverso cui una specie animale o vegetale viene resa “domestica”, cioè dipendente dalla convivenza con l’uomo e dal controllo da parte di quest’ultimo.

L’addomesticazione è intesa come un processo che l’uomo mette in atto scientemente per perseguire determinati scopi: animali usati come mezzo di trasporto per persone o cose, come cibo, per ricavarne materiali pregiati (lana, seta, ecc), altri semplicemente per intrattenimento o compagnia, altri ancora per essere usati nella caccia. C’è un forte dibattito nella comunità scientifica su come funzioni il processo di addomesticamento. Alcuni ricercatori danno credito alla selezione naturale, dove mutazioni al di fuori del controllo umano rendono alcuni membri di una specie più compatibili con la vita domestica. Altri hanno mostrato che una selezione artificiale controllata attentamente è responsabile di molti cambiamenti collettivi associati con l’addomesticamento. Queste categorie non sono mutuamente esclusive e sembra che la selezione naturale e quella artificiale abbiano entrambe giocato un ruolo nel processo di addomesticamento nel corso della storia umana.

Oche in antico Egitto, 2600 a.C. Quella in basso a sinistra è estinta da molto tenpo, ed è conosciuta solo da questi affreschi Fonte

Secondo il fisiologo Jared Diamond le specie animali, per poter essere addomesticate, devono possedere i seguenti requisiti:

  1. Dieta flessibile: animali che riescono a digerire una grande quantità di fonti di cibo e possono vivere con poco cibo sono meno dispendiose da tenere in cattività. Allevare carnivori, infatti, non è quasi mai economicamente vantaggioso.
  2. Tasso di crescita ragionevolmente veloce: il rapido raggiungimento della maturità, se comparato con la vita umana, facilita gli interventi di selezione e rende gli animali “utilizzabili” in un tempo breve.
  3. Possibilità di essere allevati in cattività: le creature che sono riluttanti a riprodursi in cattività non producono prole e la loro presenza è limitata alla cattura in natura.
  4. Buon carattere: gli animali aggressivi verso l’uomo sono pericolosi da tenere in cattività.
  5. Temperamento che renda difficile il panico: un animale nervoso è difficile da mantenere in cattività dal momento che tenterà di fuggire se spaventato.
  6. Gerarchia sociale modificabile: le creature sociali che riconoscono una gerarchia di dominanza possono essere allevate in modo da riconoscere l’uomo come loro leader.
  7. Strategia di difesa sociale: alcune specie animali, se attaccate adottano strategie di fuga per dispersione altre di raggruppamento. Nel primo caso ciascun animale fugge in una direzione differente in modo da costringere i predatori a seguire singoli individui. Altri si raggruppano in mandrie che mettono al centro di un cerchio i membri più deboli e nel cerchio esterno gli adulti a difesa. L’istinto di appartenenza a una mandria quindi aiuta nell’addomesticare gli animali: è più facile e conveniente spronare un’intera mandria in una certa direzione che tentare di andare a catturare i singoli membri dispersi di un branco.

Un sistema di classificazione che possa aiutare a risolvere questa confusione può essere questo, presentato secondo un grado di addomesticamento crescente:

  1. Selvatico: queste specie hanno tutto il ciclo di vita al di fuori di un intervento umano deliberato.
  2. Allevato allo zoo o in un giardino botanico: queste specie sono nutrite e talvolta nate sotto il controllo dell’uomo, ma restano un gruppo essenzialmente indistinguibile come aspetto e comportamento dalla loro controparte selvatica.
  3. Allevato commercialmente:queste specie sono allevate in gran numero per produrre cibo o materie prime, o per il commercio di animali domestici, ma come gruppo non sono sostanzialmente diversi dalla controparte selvatica per l’aspetto o il comportamento. Talvolta si indicano queste specie come “parzialmente addomesticate”.
  4. Addomesticato: queste specie o varietà sono nate e cresciute sotto il controllo dell’uomo per molte generazioni e sono sostanzialmente modificate come gruppo per l’aspetto ed il comportamento.

Vediamo ora quali sono le specie aviane addomesticate.

Il piccione comune (Columba livia) è stato forse il primo uccello ad essere addomesticato, attorno al 8.000 a.C. Poi è stata la volta del gallo bankiva (Gallus gallus), si stima circa nel 6.000 a.C., in India e nel sud-est asiatico. Poi il germano reale (Anas platyrhynchos) e l’oca (Anser anser), attorno al 2.000 a.C., la faraona (Numida meleagris), nel 500 a.C., e il tacchino (Meleagris gallopavo), attorno all’anno 0. Tra le specie aviane addomesticate più di recente ricordiamo la quaglia giapponese (Coturnix japonica), 900 anni fa, l’anatra muta (Cairina moschata), 500 anni fa, il canarino (Serinus canaria), 400 anni fa, la tortora dal collare africana (Streptopelia risoria) e il passero del giappone (Lonchura striata), entrambi a partire da circa 300 anni fa. Fonte

Razza di piccione domestico, disegno, 1900 Fonte

E ora vi starete chiedendo: “Ma i pappagalli?”. Beh, i pappagalli non rientrano ancora tra le specie aviane addomesticate al 100%, dal momento che su di loro non è stata ancora attuata una pesante selezione genetica come per le specie elencate prima. Ma la linea di demarcazione tra addomesticato e non addomesticato non è affatto così netta. Ad esempio, i parrocchetti ondulati (Melopsittacus undulatus) vengono allevati in cattività da circa 170 anni, e probabilmente saranno i primi pappagalli ad entrare nel club degli uccelli completamente addomesticati. Oltre a loro ci sono poi moltissime altre specie di uccelli per le quali è certamente in atto un processo di addomesticazione. Fonte

Un partocchetto ondulato Fonte

Un concetto fondamentale che molti non comprendono è la differenza tra animale domestico e animale addomesticato. Un animale si definisce domestico se è nato e/o cresciuto in cattività in un ambiente domestico e strettamente a contatto con gli esseri umani, a tal punto da diventare molto più docile e tollerante verso di noi e le nostre attività rispetto ad una animale della stessa specie ma nato e cresciuto nel suo habitat naturale, non a stretto contatto con l’Homo sapiens. Un animale domestico resta comunque un animale geneticamente e caratterialmente selvatico, soltanto con un comportamento un po’ “smussato”. Ma un animale addomesticato è tutta un’altra cosa. Come ho spiegato prima, l’addomesticazione tramite selezione artificiale modifica pesantemente la genetica di una specie, rendendola di solito intrinsecamente più docile e propensa alla vita domestica. È un processo che impiega secoli o millenni, e decine di migliaia di generazioni, perché possa raggiungere il risultato voluto. Pertanto, un animale selvatico può diventare domestico, ma un animale addomesticato può tranquillamente non essere un animale domestico! E non basta che una specie venga allevata dall’uomo, anche da molto tempo, per definirla addomesticata. Ad esempio, le mie quaglie californiane (Callipepla californica) sono nate e cresciute in cattività, nate da genitori anche loro nati in cattività, andando indietro forse di decenni. Ma su di loro non è stata fatta alcuna selezione, e sono identiche in tutto e per tutto alle quaglie californiane in natura.

Il mio Harem

Esistono poi moltissime specie, addomesticate e non, che SCELGONO di vivere in mezzo a noi. Queste specie vengono definite specie sinantropiche.

Con il termine sinantropismo (dal Greco syn-, “assieme” + anthropos, “uomo”) si intende l’attrazione di specie animali o vegetali selvatici verso ambienti profondamente alterati dall’uomo come centri abitati, parchi e giardini, sistemi fognari, discariche, ecc.

Le specie sinantropiche ricavano beneficio dall’insediarsi in questi luoghi grazie alla presenza di cibo o all’assenza di predatori. Da questa categoria sono però esclusi tutti gli animali domestici intenzionalmente inseriti dall’uomo, mentre sono inclusi gli animali addomesticati e rinselvatichiti (ad esempio i piccioni) e un gran numero di quelli che gli umani classificano come infestanti, come gli storni.

Piccioni cittadini Fonte

Tra gli esempi di specie aviane sinantropiche si annoverano i passeri domestici, i piccioni, i gabbiani, le gazze e i corvi, alcune specie di anatra, le rondini, e molte altre (a seconda dell’area geografica). Il sinantropismo può avvenire anche per via indiretta tramite altre specie sinantropiche che attirano nuove specie animali all’interno dello stesso habitat. Ad esempio i piccioni possono rendersi indirettamente responsabili dell’aumento di popolazioni di animali che li predano, come il falco pellegrino (Falco peregrinus). Fonte

Gabbiani in una discarica Fonte

Quindi, se ve lo state chiedendo: SI!!! CI SONO MOLTI ANIMALI CHE SCELGONO DI VIVERE CON NOI, IN MEZZO A COLATE DI CEMENTO ARMATO E ASFALTO, IN METROPOLI CAOTICHE, RUMOROSE E INQUINATE, quando potrebbero benissimo trasferirsi in luoghi incontaminati e senza esseri umani (comunque sempre più rari…). Quelli che noi chiamiamo “uccelli invasivi” sono in realtà le specie che hanno saputo adattarsi meglio alla nostra immondizia e al nostro inquinamento. La parola chiave è proprio ADATTABILITA’, e in questo non sono molto diversi da noi, anzi. Probabilmente anche loro ci considerano una specie invasiva, e ne hanno tutto il diritto. PERCHÉ LO SIAMO, inutile girarci intorno. Noi abbiamo trasformato foreste e praterie, ovvero la loro casa prima del nostro arrivo, in colate di asfalto e cemento armato. Adesso loro hanno TUTTO IL DIRITTO di condividere con noi lo spazio che gli abbiamo portato via. In molti casi però se queste specie sono diventate invasive e un problema ecologico è colpa nostra, perché le abbiamo introdotte in zone dove prima non esistevano a scapito delle specie autoctone. Quindi prima di prendere a calci e a parole uccelli considerati fastidiosi come piccioni e gabbiani, fate un esame di coscienza. Dopo tutto, loro sono esattamente noi in versione piumata (ma senza le nostre colpe).

È quindi ora di tirar fuori una parolina, molto usata dagli animalisti, per cercare di capirne il vero significato: la cattività. Il termine “cattività“ deriva dal latino captivĭtas -atis, derivato di captivus, ovvero “prigioniero”. Ed è questo il vero problema! Il termine “cattività” viene usato spesso da gente ignorante e superficiale per indicare QUALUNQUE animale che non scorrazza libero e felice nelle praterie o nelle foreste, lontano da noi bipedi glabri. Ma ovviamente è una generalizzazione estremamente inopportuna, e ora vi spiego il (mio) perché.

In quasi tutti gli attacchi da parte di associazioni animaliste l’affermazione principale che viene fuori è sempre la stessa: “gli animali (cosiddetti) selvatici dovrebbero essere lasciati nel loro habitat naturale e non tenuti in cattività per non farli soffrire”. Detta così suona sicuramente come un’affermazione giusta. Il problema è che i presupposti di questa affermazione non sempre sono corretti. Vediamo i motivi:

  • si presuppone che gli animali siano stati brutalmente strappati al loro habitat naturale, ma spesso non è così;
  • chi usa la parola “selvatico” non ha ben chiaro il suo significato. Anche un animale “insolito”, se nato in cattività, non è più un animale caratterialmente selvatico;
  • spesso chi pronuncia quella frase possiede cani e/o gatti, e sta già godendo dei benefici di migliaia di anni di selezione artificiale e di cattività di questi animali. Io la chiamo ipocrisia;
  • se si ha tempo, pazienza, rispetto, spazio e conoscenze adeguate, anche specie “insolite” e non addomesticate da millenni possono vivere una vita più che dignitosa a contatto coll’uomo.

Perché, se l’animale viene rispettato, la vita a contatto con le persone ha sicuramente numerosi vantaggi: protezione dalle intemperie, cure mediche, nessun predatore e cibo a volontà. Tutto questo sacrificando la libertà di “scorrazzare o volare libero e felice nella natura”. Ma la realtà è un po’ diversa. Escludendo le specie più intelligenti, la maggior parte degli animali ha in mente solo una cosa: sopravvivere! Quindi, essere al sicuro, mangiare e riprodursi. E la vita in natura è molto più dura di quanto immaginate. Malattie, parassiti, predatori, combattimenti, la continua ricerca di cibo, insomma, un’estenuante e continua lotta per la sopravvivenza.

La dura lotta per la sopravvivenza Fonte

La riprova di ciò è data dal fatto che gli animali domestici vivono molto più a lungo delle loro controparti selvatiche. E molti animali, come ho spiegato prima, hanno scelto volontariamente di vivere in mezzo a noi, per godere di (quasi) tutti questi benefici. Persino noi abbiamo scelto di vivere in “cattività” nelle grandi città per godere degli stessi identici benefici: protezione dalle intemperie, cure mediche, nessun predatore e cibo a volontà. Abbiamo sacrificato la libertà di scorrazzare liberi nelle foreste e nelle praterie, e siamo contenti di averlo fatto. La qualità della nostra vita è aumentata sensibilmente. Quindi perché non concedere anche agli animali questi privilegi? Ovviamente è necessario che questi animali siano nati e cresciuti in mezzo a noi e sono assolutamente contrario alla cattura di animali selvatici per metterli nelle gabbie.

Se le mie quaglie californiane non fossero nate e cresciute a stretto contatto con gli umani, ora con loro sarebbe impossibile qualunque interazion interazione

Tecnicamente, anche i comunissimi cani e gatti sono animali in cattività, ma perché allora gli animalisti non li considerano tali? Semplice! Perché in effetti la loro vita, nella maggioranza dei casi, non assomiglia per nulla ad una vita di prigionia. Ma quindi, perché cani e gatti sì e tutti gli altri no? Ancora più semplice! IGNORANZA, IGNORANZA, IGNORANZA. Ci sono una tonnellata di specie sia selvatiche che addomesticate che si potrebbero adattare benissimo alla vita domestica, ognuna chiaramente con le sue necessità specifiche.

La vita triste e noiosa di un’ara in cattività Fonte

E vi dirò di più. Secondo la definizione di cattività, perfino un bambino potrebbe essere considerato un prigioniero! Ovvero una creatura non ancora in grado di essere indipendente e autosufficiente nel mondo che lo circonda e che va tenuta al sicuro dai pericoli. Guarda caso, la stessa situazione in cui vivono molti animali domestici. Perché non fate uscire il vostro cane in strada a suo piacimento? Perché finirebbe stirato da un’auto. Idem il gatto. Idem tutti gli altri animali domestici. Lo fate per il loro bene. Si sacrifica un po’ la libertà in favore di una vita più lunga, sana e felice.

Un cane prigioniero Fonte

E notate bene, io non sto assolutamente dicendo che tutti gli animali selvatici potrebbero e dovrebbero diventare animali domestici!!! Sto solo dicendo che molte specie oltre a quelle già comunemente tenute come animali domestici potrebbero tecnicamente unirsi al club degli animali “amici dell’uomo”. E questo non ha nulla a che vedere col mondo naturale, che deve essere protetto e salvaguardato sempre e comunque.

Vogliamo una nuova specie domestica? Prendiamo le uova/i piccoli/i genitori da riproduzione in natura e cominciamo ad allevarli, per poi rimettere i riproduttori nella loro casa naturale. In questo modo salvaguarderemmo ancora meglio la popolazione selvatica, non dovendo più attingere da essa in futuro. Creiamo una popolazione domestica stabile ed ecosostenibile per quante più specie a rischio possibile.

Io la faccio facile, lo so, ma il mondo reale è enormemente più complesso, soprattutto a causa (o grazie?) alla burocrazia. Scartoffie su scartoffie a non finire, e questo non fa altro che disincentivare l’allevamento di moltissime specie in via di estinzione, allevamento che invece le potrebbe salvare da una triste fine preannunciata. Ma diamo un nome a queste scartoffie: CITES.

La convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, o CITES, dall’inglese Convention on International Trade of Endangered Species, è una convenzione internazionale firmata a Washington nel 1973. Ha lo scopo di regolamentare il commercio internazionale di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione. Riguarda il commercio di esemplari vivi o morti, o solo parti di organismi o prodotti da essi derivati, mirando a impedire lo sfruttamento commerciale delle specie in pericolo (prima causa di estinzione, seguita dalla distruzione dell’habitat).

Gli elenchi ufficiali delle specie protette dalla convenzione (formalmente chiamate specimen) sono periodicamente aggiornati. La convenzione distingue tre categorie di specie:

  1. Specie protette in senso stretto (ogni commercio è proibito, l’uso può essere concesso solo in circostanze eccezionali).
  2. Specie soggette a controllo (il commercio deve essere compatibile con la loro sopravvivenza ed è soggetto ad autorizzazione tramite certificato CITES).
  3. Specie soggette a controllo da parte di singoli paesi membri (tipicamente per nazioni che cercano di proteggere particolari specie endemiche).

La convenzione, in generale, non esclude che gli stati membri possano mettere in atto misure di controllo e divieti ancora più restrittivi di quelli stipulati dalla convenzione stessa. Fonte

I paesi che hanno aderito al CITES Fonte

Il fine che ha mosso i paesi membri (182) quando sono state emanate le norme riguardanti la convenzione internazionale è, senza dubbio, tra i più nobili: la tutela di specie a rischio di estinzione, evitando la cattura di uccelli e altri animali selvatici, cosa che, assieme alla distruzione dei loro habitat naturali, le ha messe seriamente a rischio. Non vi è dubbio, però, che alcuni paesi (come l’Italia) hanno applicato la norme in maniera troppo restrittiva con l’emanazione di regolamenti molto spesso di difficile comprensione che impongono adempimenti burocratici anche inutili soprattutto per le specie aviane ormai diffusissime in cattività.

Se volete farvi venire il mal di stomaco potete leggervi tutte le regole CITES qui, sul sito della F.O.I. (Federazione Ornicoltori Italiani).

Questa pesantissima burocrazia, che grava sugli allevatori e su tutto l’apparato burocratico competente, dovrebbe tutelare le specie a rischio estinzione, ma lo fa davvero? Queste normative funzionano bene (ok, benino) per le specie a rischio estinzione e che non possono adattarsi bene ad una vita domestica, per infinite ragioni, ma è perfino dannosa per quelle specie che invece si potrebbero adattare (o lo fanno già) ad una vita a contatto coll’uomo.

Non solo. Moltissime specie, aviane e non, si sono salvate dall’estinzione PROPRIO PERCHÉ PER QUELLA SPECIE ESISTEVANO POPOLAZIONI STABILI IN CATTIVITÀ!!! Alla faccia di tutti gli animalisti terroristi che combattono strenuamente contro la cattività degli animali. La cosa avrebbe senso se queste specie e i loro habitat naturali fossero realmente tutelate, ma purtroppo non è così. La deforestazione, in molte parti del mondo, continua imperterrita in nome del dio denaro. Quindi, ad oggi l’unico modo davvero efficace per tenere molte specie in vita è la riproduzione in cattività, che agli animalisti piaccia o meno.

Vediamo qualche esempio di specie aviane che ad oggi sopravvivono soltanto con esemplari in cattività.

1) Tortora di Socorro (Zenaida graysoni): estinta in natura nel 1972, oggi sopravvive con circa 200 esemplari in cattività.

Tortora di Socorro Fonte

2) Ara di Spix (Cyanopsitta spixii): dichiarato estinto in natura nel 2019, sopravvive in cattività con circa 150 esemplari.

Ara di Spix Fonte

3) Martin pescatore di Guam (Todiramphus cinnamominus): estinto in natura dalla fine degli anni ‘80, sopravvive in cattività con circa 200 esemplari.

Martin pescatore di Guam Fonte

4) Corvo delle Hawaii (Corvus Hawaiiensis): estinto in natura dal 2002, sopravvive con circa 150 esemplari in cattività.

Corvo delle Hawaii Fonte

5) Hocco di Alagoas (Mitu mitu): estinto in natura dagli anni ‘80, sopravvive in cattività con circa 130 esemplari.

Hocco di Alagoas Fonte

Senza un solido programma di riproduzione in cattività queste specie sarebbero ormai un lontano ricordo, e potremmo osservarle soltanto impagliate nei musei. Per queste specie sono in corso tentativi di reintroduzione in natura, a patto di riuscire a istituire delle aree protette in cui queste specie potrebbero sopravvivere. Tuttavia, per alcune specie sarà praticamente impossibile, dato che il loro habitat è stato ormai irrimediabilmente compromesso. Senza contare poi il collo di bottiglia genetico dovuto al ridotto numero di riproduttori. Invece, altre specie che si erano quasi estinte sono state “rinforzate” dopo un programma di riproduzione in cattività e di conseguenti rilasci in natura. Un ottimo esempio è quello di un’anatra, la moretta del Madagascar (Aythya innotata).

Moretta del Madagascar Fonte

Dopo decenni di ricerche fallimentari, nel 2006 è stato riscoperto un piccolo stormo di queste anatre, una ventina di uccelli. Per salvare questa specie gli ornitologi hanno dovuto rubare le loro uova dai nidi e farle schiudere in incubatrice, in modo da avere animali in cattività da poter far riprodurre ulteriormente in un ambiente protetto. A fine 2017 le morette in cattività erano ben 90, e dopo un anno 21 di loro sono state riportate sul lago Sofia in voliere galleggianti, per continuare a proteggerle ancora per un po’. Ancora una volta, una specie è stata salvata grazie alla cattività, “quella pratica crudele e incivile di maltrattare gli animali selvatici e renderli prigionieri”, come sostengono molti individui che si autodefiniscono animalisti.

Quindi, perché non unire l’utile al dilettevole? Perché non incentivare l’allevamento proprio delle specie a rischio estinzione e facilmente gestibili anche dai privati? Le anatre, come la moretta malgascia, non sono di certo animali così impegnativi da gestire, ad esempio. E ce ne sarebbero molti altri. Perché invece di accollare tutto il lavoro di riproduzione e mantenimento in cattività di specie in pericolo ad enti pubblici e onlus non lo affidiamo almeno in parte a milioni di privati volenterosi e amanti della natura come il sottoscritto? Ovviamente il sistema di base dovrebbe cambiare completamente. Servirebbe innanzitutto una rete capillare di istruzione e formazione, sia online che in scuole fisiche (comprese quelle dell’obbligo, nelle quali ad oggi non c’è alcuna formazione zootecnica e zoologica, escluso l’indirizzo agrario), volta a rendere i privati consapevoli dell’impegno e in grado di gestirlo. Servirebbe un organo competente in grado di valutare la predisposizione individuale al mantenimento di una o più specie a rischio, con tanto di ispezione domestica per verificare l’idoneità del contesto e degli spazi. Un po’ quello che succede ora quando si vuole adottare un bambino. E i controlli successivi saranno periodici, volti a verificare lo stato di salute psico-fisica degli animali. Anche adesso qualcosa di simile esiste già, ma quasi esclusivamente per questioni igienico-sanitarie focalizzate sulla salute di noi umani, non realmente su quella degli animali. Tant’è che poi al minimo problema sanitario gli animali vengono sterminati senza pietà, com’è successo di recente all’allevamento Fenati, dimostrando che al momento la vita degli animali vale esattamente ZERO. Gli animali dovrebbero essere finalmente considerati alla pari degli umani.

L’unione fa la forza, giusto? Quindi perché non usarla per salvare così gli animali che altri umani stanno sterminando nei loro habitat? Ovviamente non sarebbero assolutamente allevamenti intensivi, massimo qualche decina di esemplari, a seconda dello spazio a disposizione e delle necessità dell’animale. Con l’obbiettivo di una futura reintroduzione in natura, la riproduzione di questi animali sarà attentamente pianificata, in modo da non influire negativamente sul pool genetico della specie. Ogni singolo animale avrà la sua carta d’identità, e gli allevatori di una stessa area grografica si scambieranno/“presteranno” degli esemplari per farli accoppiare garantendo un’adeguata variabilità genetica. Poi alcuni o tutti gli esemplari nati verranno restituiti alla natura, dopo essere stati svezzati in un contesto che gli permetta di essere pronti alla vita selvatica. Certo, le scartoffie non mancheranno, e anzi potrebbero aumentare, ma sarebbero finalmente scartoffie UTILI e non solo uno dei tanti modi per fare cassa. In questo modo tutti noi potremmo essere utili per salvare queste specie, e allo stesso tempo godere della presenza di animali super interessanti.

Tutto questo è assolutamente PURA UTOPIA, purtroppo. Ma la cosa che più mi fa inca**are è che alcuni enti che dovrebbero salvaguardare gli animali in realtà fanno di tutto per eliminarli dalle nostre vite, eliminando di conseguenza anche la nostra consapevolezza, e quella dei nostri figli, sul mondo animale, su quanto sia importante e soprattutto quanto la nostra sopravvivenza dipenda dalla loro. Tutto questo trasformando gli animali in semplici macchie di pixel colorati su un monitor, una cosa tutto sommato lontana e di cui non preoccuparsi troppo. Ed è questo il problema. Noi umani abbiamo molti limiti, e uno di questi è proprio il fatto che “se non ce l’abbiamo davanti al naso non è un problema nostro”. Eliminare gli animali dalle nostre vite avrebbe esattamente la conseguenza di trasformare loro e la loro sopravvivenza in un problema non più nostro. Come facciamo ad amare e rispettare gli animali se non li conosciamo? E quale potrebbe essere il modo migliore per conoscerli se non quello di convivere con loro?

Bene, grazie a queste associazioni che si definiscono animaliste (in realtà sembrano più associazioni anti-animali) tra poche settimane il mondo degli animali domestici in Italia potrebbe venir stravolto per sempre.

Il REGOLAMENTO (UE) 2016/429 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 9 marzo 2016 relativo alle malattie animali trasmissibili e che modifica e abroga taluni atti in materia di sanità animale (“normativa in materia di sanità animale”) ha allettato, solo ed esclusivamente in Italia, alcune associazioni animaliste (come la LAV) che hanno proposto il disegno di legge delega n.1721. Tra gli obiettivi ritroviamo la delegazione del governo ad emanare decreti legislativi volti a prevedere misure al commercio di animali, affiancate da un sistema sanzionatorio adeguato ed efficace, tra cui uno specifico divieto all’importazione, alla conservazione e al commercio di fauna selvatica ed esotica, anche al fine di ridurre il rischio di focolai di zoonosi, nonché l’introduzione di norme penali volte a punire il commercio di specie protette. La parola “anche” fa ben pensare che la principale finalità di questa proposta di legge non è quella suggerita dal regolamento europeo dove si fa riferimento, con ottica di sanità, perlopiù a fauna selvatica a scopo alimentare.

Nel 2021 si può affermare che gli animali “esotici” in Italia nascono in cattività (pertanto non sono veicolo di zoonosi), crescono in ambienti che assicurano loro benessere psico-fisico, partecipano alla conservazione salvaguardando patrimoni genetici e instaurano rapporti di affezione proprio come cani e gatti.

Nell’aprile 2021 questa assurda proposta di legge è passata in senato praticamente all’unanimità, e dovrebbe entrare in applicazione il prossimo 8 maggio. Se il testo non verrà opportunamente modificato per renderlo più adatto ad un reale impegno di conservazione della biodiversità, tra un mese gli unici animali domestici legali saranno cani, gatti, furetti e conigli. Non è ben chiaro il destino di tutte le specie allevate da millenni come galline, anatre, e piccioni, e non si sa ancora se sarà ancora possibile, per un privato cittadino, tenere questi animali senza permessi allucinanti.

La LAV (che io da ora chiamerò Lega Anti Vita) ha sfruttato la recente isteria da COVID per tirare l’acqua al suo mulino, affermando cose assolutamente false e tendenziose, con una proposta di legge che letteralmente ammazza la possibilità di salvaguardare e riprodurre in cattività specie preziosissime che magari non sono ancora estinte proprio grazie alla cattività. O peggio, facendo a brandelli quella consapevolezza zoofila sempre più potente in noi e nei nostri figli, il cui futuro dipenderà anche e soprattutto da quanto sentiranno emotivamente vicini gli animali. Invece probabilmente saranno costretti a crescere a videogiochi e grande fratello. Bel futuro di merda!!!

E poi, perché cani, gatti, furetti e conigli sì, ma tutti gli altri no? Chi cavolo l’ha stabilito? Forse è venuto fuori da un sondaggio sugli animali domestici più diffusi tra i soci LAV? Non mi sorprenderebbe. Volevano soltanto il loro piccolo momento di gloria, e l’hanno ottenuto con la truffa e l’inganno. Quella messa in atto è pura propaganda animalista, e con questa proposta hanno svelato la loro vera natura, ovvero quella di animalisti terroristi. Come diceva Totò: “in tempi difficili gli intelligenti cercano una soluzione, gli stupidi un colpevole”. E secondo la LAV i colpevoli sono tutti quegli allevatori (tanti) che dedicano la loro vita ad amare gli animali, il cui futuro ora è molto incerto. Certo! Di allevatori che trattano gli animali come oggetti inanimati è pieno il mondo, ma non si può fare di tutta un’erba un fascio. Paragonare le fiere di animali esotici italiane ai “wet markets” cinesi è una cosa folle e che non sta nè in cielo nè in terra. Siete completamente fuori strada!!!

Ecco un tipico wet market cinese:

Ed ecco una tipica fiera di animali esotici da compagnia:

Secondo la LAV non c’è alcuna differenza. Omini della LAV, volete un consiglio spassionato? CAMBIATE OCULISTA, vi conviene.

Come sempre accade in Italia, invece di istruire e formare adulti e ragazzi sul giusto approccio ad una cosa, la si vieta in tronco, punto e fine. Invece di insegnarci a volare in sicurezza, preferiscono strapparci le ali e impedirci di volare del tutto. È l’equivalente di mettere tutta la polvere sotto il tappeto.

Perché la LAV non ci spiega in modo scientificamente accurato in che modo l’allevamento in cattività di esemplari di specie a rischio (nati e cresciuti in cattività da generazioni) possa influire negativamente sulla sopravvivenza degli esemplari selvatici della stessa specie? Non vedo proprio come le due cose possano essere collegate una volta bandita per sempre la cattura degli animali selvatici non allevabili in cattività.

E questa è solo l’ultima trovata geniale di questi falsi animalisti, che da me non avranno mai nemmeno un centesimo bucato. La LAV con la sua recente propaganda del terrore ha conquistato l’opinione pubblica e il governo affermando delle pure eresie senza alcun fondamento scientifico, cosa che la rende non molto diversa da associazioni di terrapiattisti, No-vax e compagnia bella.

Non fraintendetemi, la LAV ha fatto anche moltissime cose positive e ottenuto risultati importantissimi per la tutela degli animali, ma con quest’ultima proposta di legge è caduta veramente in basso. Probabilmente l’isteria da pandemia ha colpito pure loro, pesantemente.

Quindi, se volete anche voi aiutarci a combattere questa legge assurda, firmate anche voi come me questa petizione su Change.org. Insieme potremmo fare la differenza! Ma veloci, il tempo stringe…

Ma parliamo ora di normative altrettanto senza senso e ben più vecchie, come quelle relative alla detenzione di specie autoctone. Vi copio direttamente l’articolo 46 in materia di “detenzione e allevamento di fauna selvatica autoctona a fini
ornamentali, amatoriali e per il mantenimento di tradizioni locali
(art. 40 l.r 3/1994)”
:

  1. La detenzione di fauna selvatica autoctona a fini ornamentali,
    amatoriali e per il mantenimento di tradizioni locali e’ soggetta ad autorizzazione regionale.
  2. Coloro che intendono esercitare l’attivita’ di allevamento di uccelli appartenenti a specie selvatiche autoctone devono essere iscritti ad una associazione ornitologica nazionale o dell’unione europea legalmente costituita. Il titolare deve tempestivamente comunicare alla struttura competente della Giunta regionale l’eventuale variazione dell’associazione a cui risulta iscritto.
  3. Coloro che intendono esercitare l’attivita’ di allevamento di uccelli appartenenti a specie selvatiche autoctone devono provvedere ad identificare i pullus con anello inamovibile e numerato non oltre il decimo giorno dalla nascita. E’ fatta eccezione per i pullus degli anatidi che devono essere inanellati non oltre il sessantesimo giorno dalla nascita.
  4. Gli anelli utilizzabili sono forniti all’allevatore dall’associazione ornitologica di appartenenza. Ogni anello deve indicare la sigla dell’associazione, il numero di matricola dell’allevatore, la lettera di indicazione del diametro dell’anello,
    il numero progressivo e l’anno di nascita del soggetto.
  5. Negli allevamenti di fauna selvatica autoctona a fini amatoriali, ornamentali e per il mantenimento di tradizioni locali non possono essere allevate specie ungulate e, in caso di allevamento di specie cacciabili, non possono essere detenuti piu’ di dieci riproduttori per ogni specie salvo quanto previsto al comma 6.
  6. La detenzione di riproduttori di specie cacciabili in numero superiore a dieci deve essere espressamente autorizzata dalla struttura competente della Giunta regionale per specifiche e documentate finalita’ di selezione della specie a fini espositivi.
  7. Oltre che per le finalita’ specifiche dell’allevamento, i soggetti allevati, accompagnati da idonea certificazione sanitaria, possono essere utilizzati anche per il ripopolamento.
  8. Tutti gli uccelli allevati appartenenti alle specie selvatiche possono essere esposti nelle fiere e per le manifestazioni canore purche’ identificati mediante anello inamovibile e numerato.
  9. Tutti gli uccelli allevati appartenenti alle specie di cui all’art. 48, comma 1 possono essere utilizzati come richiami vivi ad uso di caccia purche’ identificati mediante anello inamovibile e numerato.
  10. La competente struttura della Giunta regionale puo’ autorizzare la detenzione temporanea di singoli soggetti in difficoltà appartenenti alla fauna selvatica, non immediatamente reinseribili in natura. Nell’autorizzazione sono disposte le prescrizioni relative alle modalita’ di custodia. Fonte

Non vi sembra una delle cose più senza senso che avete letto perlomeno nelle ultime 24 ore? A me sì. Parafrasando, viene fuori una cosa del genere (i punti salienti):

“Se vuoi tenere/allevare una specie autoctona, che anche in caso di fuga di esemplari questi potrebbero integrarsi perfettamente nella popolazione selvatica senza causare danni: TI SERVONO MILLE AUTORIZZAZIONI. Se invece vuoi allevare specie aliene, come i pappagalli, che in caso di fuga di esemplari questi potrebbero insediarsi e proliferare facendo danni alle specie autoctone: PUOI FARE PIÙ O MENO IL CAVOLO CHE VUOI. Se vuoi tenere più di 10 uccelli per una specie autoctona: TI SERVONO MILLE AUTORIZZAZIONI SPECIALI. Se invece vuoi sparare a uccelli selvatici di quella stessa specie autoctona: PUOI FARE PIÙ O MENO IL CAVOLO CHE VUOI. Vuoi tenere quegli stessi uccelli in gabbie minuscole e fare in modo che chiamino i loro amici selvatici in modo che poi tu possa poi trucidarli a fucilate: NESSUN PROBLEMA!”

Questa è la mia personalissima parafrasi di una delle tante normative insensate emesse da burocrati scaldasedia e rubasoldi. Tranquilli, succede ogni giorno! Politici e burocrati che emettono leggi su aspetti tecnici senza interpellare i VERI tecnici, e che se anche li interpellano (per facciata) poi fanno comunque di testa loro. E questi sono i risultati.

Precisazione: io non sono del tutto contrario alla caccia, purché strettamente regolamentata, anche perché spesso è necessaria per tenere a bada le popolazioni di specie infestanti (anche se quasi sempre il problema di base siamo sempre noi umani…).

Quindi è finalmente ora di stendere il mio decalogo sul mondo che vorrei in fatto di interazione umani-uccelli (animali), aggiungendo qualche punto non strettamente ornitologico e non ancora affrontato in questo post.

Io propongo:

1) Di iniziare da oggi con la chiusura e lo smantellamento degli allevamenti intensivi, a partire da quelli bovini. È ormai dimostrato da tempo che gli allevamenti intensivi di bovini sono una delle principali cause del riscaldamento globale, a causa del metano che producono. Inoltre il consumo di proteine animali è estremamente inefficiente, dal momento che per fare 1kg di proteine animali servono oltre 15kg di proteine vegetali. Se tutti fossimo vegetariani, il nostro pianeta potrebbe sostenere tranquillamente 20 miliardi di persone senza problemi. Semplicemente, sulla Terra non c’è posto per così tanti carnivori. Io sono vegetariano, ma non sono contrario al consumo di carne in sè. Dopotutto, da miliardi di anni il mondo funziona così, con prede e predatori, è una cosa assolutamente naturale. Ma ripeto, siamo davvero troppi per poterci permettere il lusso di mangiare carne tutti i giorni. Ma non sono contrario alla caccia di sostentamento per specie non a rischio, e nemmeno al fatto di mangiare una gallina allevata nel proprio giardino (anche se io non lo farei). Dovremmo cercare di avere tutti il nostro orto privato e comunque di prediligere le produzioni locali a basso impatto ambientale.

2) Di fermare immediatamente la deforestazione, anche boicottando in toto tutte le multinazionali che la finanziano. La deforestazione è la principale causa della perdita di biodiversità su questo pianeta, ed è strettamente correlata alla nostra alimentazione (punto 1). La maggior parte delle coltivazioni nelle aree deforestate serve per produrre cibo per gli animali degli allevamenti intensivi, e per le palme da olio.

3) Di dare più responsabilità ai singoli cittadini nella salvaguardia di specie a rischio tramite un sistema che permetta loro di allevare queste specie a livello domestico, magari anche con una sorta di stipendio statale o europeo per il servizio offerto al mondo naturale. Il tutto ovviamente dopo appositi corsi di formazione, anche online, per ogni specie, e associato a visite ispettive preventive e successive volte a verificare lo stato di salute psicofisica degli animali e l’idoneità degli spazi. Gli accoppiamenti saranno organizzati opportunamente per salvaguardare la variabilità genetica, e i nuovi nati verranno in parte rimessi in natura.

4) Di tutelare maggiormente la salute psicofisica degli animali sia in cattività che in natura. Tutti gli animali in cattività dovrebbero avere una tutela simil-legale ed essere riconosciuti come pseudo-cittadini dello stato, dipendenti dai loro umani. Basta stermini di massa, e iniziamo a curare anche gli animali come noi umani, magari pure con un sistema veterinario nazionale (le prestazioni veterinarie troppo costose disincentivano le cure degli animali), con molti più medici veterinari e soprattutto più specialisti in specie “non convenzionali”. Proporrei anche un limite al numero di animali e specie per ogni privato. Infine, basta animali al circo!

5) Di incentivare a livello statale l’allevamento di specie autoctone e non dannose in caso di fuga, specialmente quelle a rischio estinzione, e di disincentivare l’allevamento di specie particolarmente invasive che in caso di fuga potrebbero inselvatichirsi e causare enormi danni alla fauna locale. In pratica questo è l’approccio neozelandese. Da decenni si inneggia al Made in Italy, vantandosi dei prodotti 100% italiani, quindi perché non farlo anche con la nostra fauna 100% italiana? Bisogna stravolgere completamente il sistema.

6) Di disincentivare l’allevamento di razze domestiche con frequenti e seri problemi di salute dovuti a incroci selettivi troppo aggressivi. Sono animali destinati ad una vita molto faticosa e sofferta, e noi li mettiamo al mondo per puro divertimento. Tra queste si annoverano razze di cani, gatti, polli, piccioni, anatre, tacchini, e molti altri.

7) Di fermare immediatamente, anche con la forza se necessario, lo sterminio di molte specie che vengono catturate e ammazzate soltanto in nome di tradizioni anacronistiche e non realmente necessarie per il sostentamento. Tra queste ricordiamo: la mattanza di cetacei delle Faroe, lo sterminio degli avvoltoi in Africa, l’uccisione di elefanti per l’avorio, l’uccisione delle pulcinelle di mare nei paesi nordici, la caccia a squali e balene, e l’uccisione di specie protette per alimentare il mercato della medicina tradizionale.

8) Di vietare tassativamente la cattura, la detenzione e il commercio di specie esotiche e autoctone che non possono essere allevate e fatte riprodurre in cattività con successo. Queste specie vanno lasciate nel loro habitat naturale (che va a sua volta salvaguardato), perché è solo lasciandole in natura che possiamo proteggerle dall’estinzione. Discorso a parte per la fauna ittica ad uso alimentare, impossibile da allevare in cattività con quei volumi. Ma anche la pesca dovrebbe essere meglio regolamentata.

9) Di fermare l’allevamento e la sofferenza di animali atti a produrre beni non di prima necessità, tra cui ricordiamo gli allevamenti di animali da pelliccia, le anatre da fois gras, le oche da piumino, e altri.

10) Di implementare un sistema di istruzione zoologica e zootecnica anche nelle scuole dell’obbligo, partendo dai bambini. Perché non si può amare e rispettare quello che non si conosce. Inoltre serve assolutamente un qualche tipo di formazione all’adozione di un qualunque tipo di animale, dal pesce rosso, al criceto, al canarino, al cane, da qualunque ente commerciale e non. È assurdo che ad oggi basta pagare per portarsi in casa la maggior parte degli animali da compagnia. Nessuno si preoccupa di istruire l’acquirente sulle necessità e sulle caratteristiche uniche di quella specie. Quasi tutto quello che acquistiamo ha un libretto informativo e/o un manuale d’istruzioni, e prima di diventare genitori si deve fare un corso pre-parto in cui vi insegnano a prendervi cura di una piccola vita. Perché per gli animali non si fa?? Lo trovo paradossale, quindi è una cosa che andrebbe assolutamente implementata, per il benessere sia nostro che dei nostri amici non umani.

So che tutto questo è in gran parte irrealizzabile in un mondo frenetico e capitalista come il nostro, ma questa è la mia personalissima proposta su come penso dovrebbero cambiare le cose per un mondo migliore che permetta una perfetta armonia tra umani e non umani.

Insomma, questo è IL MONDO CHE VORREI!

A presto e grazie della lettura!

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Un pensiero riguardo “Il mondo che vorrei

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