Qualcuno sostiene che i piccioni siano “due occhi con un paio di ali”, e in effetti non è una cosa totalmente insensata. Mediamente, come classe, gli uccelli hanno la vista migliore di tutto il regno animale. La vista è infatti il loro senso più sviluppato, essendo necessario, tra le altre cose, per poter volare in sicurezza.
Quasi tutti gli uccelli sono dotati di occhi molto grandi per consentire un ampio campo visivo ed immagini eccezionalmente nitide. I loro occhi sono così grandi che in alcune specie i due occhi insieme pesano addirittura più del cervello. In proporzione alle dimensioni corporee, gli uccelli hanno gli occhi più grandi di tutti gli animali. Tanto per fare un esempio, uno struzzo, che pesa circa 100kg, ha un bulbo oculare di 5 cm di diametro (il più grande di tutti gli animali terrestri), mentre il bulbo oculare di un elefante, che pensa in media 4.500kg, ha un diametro di soli 3,8 cm.

Come conseguenza delle grandi dimensioni degli occhi aviani, il loro movimento all’interno dell’orbita ossea è solitamente molto limitato, con una rotazione media di soli 10-20 gradi. Tuttavia, alcuni passeriformi fanno eccezione, potendoli ruotare anche di 80 gradi.
La struttura del bulbo oculare degli uccelli così come le sue funzionalità di base non sono poi così diverse da quelle dei nostri occhi. Anche loro hanno una cornea circondata dalla sclera, un’iride pigmentata che regola l’apertura della pupilla, un cristallino, un corpo vitreo e una retina, ricoperta da coni e bastoncelli. I primi sono più sensibili alla lunghezza d’onda (colore) e necessitano di molta luce per generare immagini nitide e colorate, i secondi sono invece più sensibili in condizioni di scarsa luce, ma generano un’immagine monocromatica (bianco e nero). Poi anche gli uccelli hanno dotti e ghiandole lacrimali e due palpebre esterne come noi. E infatti, fino a qui potrebbe sembrare tranquillamente la descrizione di un occhio umano. Ma il bello deve ancora arrivare!
Ecco innanzitutto la struttura di un occhio aviano medio:

Partiamo dall’esterno: le palpebre. Gli uccelli hanno infatti tre palpebre per ciascun occhio, due esterne simili alle nostre (anche se quasi sempre è solo quella inferiore che si chiude verso l’alto coprendo l’occhio) e una terza palpebra sottostante le altre due che si chiude orizzontalmente, detta membrana nittitante. Oltre a proteggere l’occhio, questa membrana pulisce la superficie della cornea e la mantiene umida, grazie ad una ghiandola lacrimale aggiuntiva e dedicata, che secerne nello spazio congiuntivale tra la terza palpebra e la cornea. Alcuni uccelli acquatici, come svassi, cormorani, anatre tuffatrici e alcidi, hanno membrane nittitanti con un’area centrale simile a una finestra che agisce come una lente a contatto sulla cornea. Questi uccelli possono vedere attraverso la loro membrana nittitante anche quando è chiusa per proteggere la cornea durante le immersioni. Il corvo americano (Corvus brachyrhynchos) ha una membrana nittitante bianca e opaca che, aprendola e chiudendola, funge da mezzo di comunicazione tra gli individui, come se fosse una sorta di codice morse.

Sotto la sclera dell’occhio, gli uccelli, ma anche altri animali come i rettili, hanno un ossicino circolare chiamato anello sclerotico. Questa struttura, presente già nei dinosauri del Mesozoico, sembrerebbe aver una funzione di sostegno per bulbi oculari non sferici, come sono appunto quelli degli uccelli.

Una struttura vascolare non sensoriale simile a un pettine, chiamata pecten oculi, nutre la retina e controlla il pH dell’umor vitreo. Il pecten si proietta nel corpo vitreo dallo stesso sito in cui esce il nervo ottico, ed è una struttura presente solo negli uccelli. Nell’occhio dei vertebrati, i vasi sanguigni si trovano davanti alla retina, oscurando parzialmente l’immagine. Il pecten aiuta a risolvere questo problema riducendo notevolmente il numero di vasi sanguigni nella retina e permettendo a uccelli come i falchi di avere una vista straordinariamente nitida e acuta. Si ritiene inoltre che la pigmentazione del pecten protegga i vasi sanguigni dai danni causati dalla luce ultravioletta. Si pensa che l’assorbimento della luce diffusa da parte dei granuli di melanina del pecten oculi dia luogo a piccoli incrementi della temperatura del pecten e dell’occhio. Questo potrebbe ottimizzare il funzionamento dell’occhio a basse temperature durante i voli ad alta quota.

Moltissimi uccelli hanno poi quattro diversi tipi di coni di rilevamento del colore nella loro retina, e hanno quindi una visione tetracromatica, mentre noi umani abbiamo una visione soltanto tricromatica. La presenza di un tipo di cono sensibile ai raggi ultravioletti fino a 310nm permette agli uccelli di vedere più colori rispetto a noi umani, compresi colori UV (ma anche nello spettro visibile) che noi non possiamo nemmeno immaginare.
Riflessione: forse è proprio per questo che le mie quaglie sono terrorizzate da oggetti con colori sgargianti?? Chissà cosa vedono che io non vedo!
Di gran lunga il pigmento conico più abbondante in tutte le specie di uccelli esaminate è la iodopsina, che assorbe a lunghezze d’onda vicine ai 570nm. Questa è all’incirca la regione spettrale tra il rosso e il verde, ed è appunto a questi colori che gli uccelli sono più sensibili. Nei pinguini, però, questo pigmento sembra aver spostato il suo picco di assorbimento a 543nm, presumibilmente come adattamento ad un ambiente acquatico blu/azzurro.

Ogni cono di un uccello o di un rettile contiene una gocciolina d’olio colorata, caratteristica ormai scomparsa nei mammiferi. Queste goccioline, che contengono alte concentrazioni di carotenoidi, sono poste in modo che la luce le attraversi prima di raggiungere il pigmento visivo. Agiscono quindi come filtri, rimuovendo alcune lunghezze d’onda e restringendo gli spettri di assorbimento dei pigmenti. Ciò riduce la sovrapposizione di risposta tra i pigmenti e aumenta il numero di colori che un uccello può distinguere. Sono stati identificati sei tipi di goccioline d’olio diverse, cinque costituite da miscele di carotenoidi che assorbono a diverse lunghezze d’onda e intensità, e un sesto tipo senza pigmenti. I pigmenti conici con il picco di assorbimento massimo più basso, compresi quelli sensibili ai raggi UV, possiedono il tipo “chiaro” o “trasparente” di goccioline d’olio con scarso effetto di regolazione spettrale.
I colori e la distribuzione delle goccioline di olio retinico variano considerevolmente tra le specie e dipendono più dalla nicchia ecologica utilizzata (cacciatore, pescatore, erbivoro/granivoro) che dalle relazioni genetiche. Ad esempio, i cacciatori diurni come la rondine e i rapaci hanno poche goccioline colorate, mentre la sterna comune, che pesca i pesci in superficie, ha un gran numero di goccioline rosse e gialle nella retina. L’evidenza suggerisce quindi che le goccioline di olio rispondono alla selezione naturale più velocemente dei pigmenti visivi del cono.
La capacità degli uccelli di vedere fino nel campo degli UV permette loro di avere uno strumento di riconoscimento tra individui aggiuntivo. Infatti molti uccelli hanno delle aree del piumaggio o di altre parti del corpo che sono UV riflettenti, e di conseguenza tra di loro gli uccelli si vedono diversamente da come li vediamo noi. Spesso, anche se per noi una specie non sembra avere dimorfismo sessuale, in realtà il dimorfismo c’è eccome! Solo che è nel campo degli UV, che noi umani non possiamo percepire. Inoltre è stato dimostrato che la sensibilità agli UV è molto importante per trovare cibo, sia per uccelli vegetariani che per uccelli predatori.

Il rapporto tra coni e bastoncelli dipende ovviamente dalle necessità di ciascuna specie. Negli uccelli diurni, l’80% dei recettori può essere costituito da coni (fino al 90% in alcuni rondoni) mentre nei gufi e in altri uccelli notturni è l’opposto, ovvero hanno quasi tutti bastoncelli. I gufi, che tra l’altro sono presbiti (vedono male da vicino), vedono quindi molto meglio di notte che di giorno. Hanno inoltre un tapetum lucidum, uno strato riflettente sulla retina che aiuta ad amplificare la poca luce notturna e che fa “brillare” i loro occhi al buio, un po’ come i gatti.
Il processo di accomodazione consente all’occhio di mettere a fuoco le immagini a distanze variabili regolando la curvatura del cristallino e la quantità di luce che entra nella pupilla. Per mettere a fuoco oggetti distanti, il cristallino si appiattisce e la pupilla si allarga (permettendo a più luce di raggiungere la retina). Al contrario, quando l’occhio si concentra su un oggetto più vicino, la lente diventa più sferica e la pupilla si restringe. I muscoli dell’iride infatti aprono e chiudono la pupilla proprio come il diaframma in una fotocamera controlla la larghezza dell’apertura.
Molti uccelli mostrano una notevole velocità di accomodazione, molto superiore alla nostra, e sono in grado di mantenere gli oggetti a fuoco a distanze che cambiano rapidamente. I falchi sono in grado di mantenere la preda a fuoco durante l’intera durata di un avvicinamento: dall’alto nel cielo a pochi centimetri dal suolo. Alcuni uccelli, invece, sono miopi. I pinguini, ad esempio, sono particolarmente miopi sulla terraferma poiché la loro visione si è evoluta per facilitare la navigazione e la caccia sott’acqua.
Gli uccelli che volano veloci attraverso una fitta foresta sono in grado di evitare i tronchi e i rami degli alberi sul loro percorso. Gli uccelli possono infatti percepire i movimenti rapidi meglio degli umani, per i quali lo sfarfallio a una frequenza superiore a 50 impulsi luminosi al secondo (50 Hz) appare come una luce fissa. Gli esseri umani non possono quindi distinguere i singoli impulsi di una lampada a fluorescenza che oscilla a 60 Hz, ma molti uccelli come galline e pappagalli possono percepire una frequenza di 100 Hz. Alcuni uccelli arrivano addirittura a 146 Hz, ed è stato verificato sperimentalmente (ne avevo parlato in questo post). Un astore può facilmente inseguire agili prede attraverso i boschi e contemporaneamente evitare rami e altri oggetti in avvicinamento ad alta velocità. Per noi umani un tale inseguimento sembrerebbe un video caotico e sfocato. In pratica è come se gli uccelli vedessero al rallentatore!
Ecco cosa può fare quindi un astore:
La maggior parte degli uccelli utilizza prevalentemente una visione monoculare: cioè, quando gli occhi sono posti su lati opposti della testa (come i piccioni), un determinato oggetto è visibile solo con uno dei due occhi. Questa posizione degli occhi permette di conseguenza un ampio campo visivo. La beccaccia americana, che è forse l’uccello con il campo visivo più ampio, arriva a 180 gradi sul piano verticale e addirittura 360 gradi sul piano orizzontale. Gli uccelli con questa posizione degli occhi possono quindi vedere davanti e dietro allo stesso tempo. Gufi e rapaci utilizzano invece una visione sia monoculare che binoculare, perché i loro occhi sono posizionati nella parte anteriore del cranio, e la loro visione consente al massimo un campo visivo di 70 gradi.
Tuttavia, la visione binoculare migliora la percezione della profondità e la capacità di differenziare un oggetto dallo sfondo, creando quindi un forte effetto tridimensionale.

Ma torniamo alla retina. Gli assoni dei bastoncelli e dei coni passano sulla superficie della retina e convergono per formare il nervo ottico, che lascia il bulbo oculare per entrare nel lobo ottico del cervello. Il posizionamento dello strato nervoso sopra lo strato di cellule sensoriali interferisce effettivamente con la vista dei vertebrati, uccelli compresi, creando un punto cieco. La vista è tuttavia migliore dove lo strato nervoso è più sottile: per tutti gli uccelli e per la maggior parte dei mammiferi (umani compresi) ciò si verifica nella fovea centrale della retina, dove la concentrazione dei coni è molto maggiore. Oltre alla fovea centrale, che fornisce un’eccellente acuità visiva agli uccelli con visione monoculare, i falchi e altri uccelli diurni con volo veloce (come colibrì, sterne e martin pescatori) hanno un’altra area con alta densità di coni chiamata fovea temporale. Quest’area facilita una chiara visione frontale, ed è presente nel 54% delle specie di uccelli. I gufi, che hanno gli occhi fissi e rivolti in avanti, hanno invece solo fovee temporali.
Ecco la struttura retinica di un rapace notturno:

Gli uccelli con una fovea sia centrale che temporale hanno sia una chiara visione monoculare dei campi visivi che stanno attraversando che una chiara visione binoculare del campo visivo verso cui si stanno muovendo, un ovvio vantaggio quando ad esempio si insegue una preda. In questi casi è infatti di vitale importanza poter vedere nitidamente sia gli ostacoli frontali che quelli laterali.
Ecco la struttura retinica di un rapace diurno:

Oltre alle due fovee, alcuni uccelli hanno anche una “striscia visiva” estesa di coni concentrati che si staglia orizzontalmente attraverso la retina. Questa struttura sembra fornire una miglior visione periferica lungo l’orizzonte, un’utile capacità per rilevare i potenziali predatori mentre si è impegnati in altre attività, come ad esempio la ricerca di cibo, anche se ha come conseguenza una miopia nella parte bassa del campo visivo. Detto in breve, con due fovee gli uccelli possono mettere a fuoco tre punti diversi del campo visivo allo stesso tempo, due laterali e uno frontale. Semplicemente incredibile!

Ovviamente anche la densità media dei fotorecettori è fondamentale per determinare la massima acuità visiva raggiungibile. Se gli esseri umani hanno circa 200.000 recettori per millimetro quadrato, il passero domestico ne ha 400.000 e la poiana comune circa 1.000.000.

Come ho detto all’inizio, gli occhi della maggior parte degli uccelli si muovono molto poco nelle orbite. Tutti i vertebrati hanno in totale sei muscoli addetti al movimento del bulbo oculare. Sebbene presenti, negli uccelli questi muscoli sono piuttosto ridotti, e quindi loro compensano questa mancanza di movimento degli occhi grazie ad un collo relativamente lungo e molto più mobile del nostro. Ad esempio i gufi, che hanno solo la visione binoculare anteriore, per vedere ai lati e posteriormente possono ruotare la testa di quasi 180 gradi. In tutte le direzioni!
Tutti gli uccelli con prevalenza di monocularità possono ottenere effetti tridimensionali attraverso i movimenti della testa. In effetti, quasi tutti gli animali, inclusi insetti e umani, utilizzano questa tecnica, nota come parallasse di movimento. Quando la testa si muove, gli oggetti vicini sembrano muoversi più velocemente, mentre gli oggetti più distanti si muovono più lentamente o non sembrano muoversi affatto. I movimenti laterali della testa di un uccello sono spesso un tentativo di ottenere una migliore percezione della distanza, sia della preda che dei predatori. Allo stesso modo, gli uccelli piegano la testa con diverse angolazioni prima di mangiare per valutare la forma e la commestibilità di un alimento.
Anche il movimento avanti-indietro della testa durante la locomozione, molto evidente in alcuni uccelli, è correlato alla vista. Sebbene alcuni uccelli come i piccioni e i polli domestici sembrino “dondolare” la testa più degli altri uccelli mentre camminano, in realtà mantengono la testa ferma più a lungo, consentendo una più duratura visione da un punto fisso mentre si muovono. Durante la fase di attesa, la testa rimane ferma mentre il corpo avanza, e questo crea l’illusione che la testa si muova all’indietro. La lunghezza e la flessibilità del collo di un uccello consentono alla testa di rimanere ferma mentre il corpo si muove in avanti, ciò facilita la stabilizzazione dell’immagine sulla retina, nonché il rilevamento del movimento nell’ambiente.
La dimostrazione di questo meccanismo è molto banale: una gallina che cammina su un tapis roulant non ondeggia la testa avanti e indietro, dal momento che l’ambiente circostante resta già fisso. Sebbene la velocità e la tempistica del movimento della testa varino con lo stile di locomozione, sono le necessità visive che limitano la locomozione, e non il contrario come potrebbe sembrare.
Per ottenere immagini stabili mentre volano o quando sono appollaiati su un ramo ondeggiante, gli uccelli tengono la testa il più ferma possibile con riflessi compensativi. Mantenere un’immagine stabile è poi particolarmente importante per i rapaci. Poiché l’immagine può essere centrata sulla fovea centrale di un solo occhio alla volta, la maggior parte dei falchi durante le picchiate usa un percorso a spirale per avvicinarsi alla preda dopo essersi agganciati visivamente a un individuo bersaglio. L’alternativa di tenere la testa di lato per una migliore visuale rallenterebbe inutilmente la discesa aumentando la resistenza dell’aria, mentre una discesa a spirale non riduce significativamente la velocità.

Gli uccelli possono anche rilevare meglio di noi gli oggetti che si muovono lentamente. Il movimento del sole e delle costellazioni nel cielo è impercettibile per gli esseri umani, ma percepito dagli uccelli. La capacità di rilevare questi movimenti consente agli uccelli migratori di orientarsi correttamente. Ma non è l’unico metodo che usano gli uccelli per non sbagliare strada. È stato infatti suggerito che la percezione dei campi magnetici da parte degli uccelli migratori sia in realtà dipendente dalla luce. È un fatto ormai noto che uccelli muovano la testa per rilevare l’orientamento del campo magnetico, e studi sui percorsi neurali hanno suggerito che gli uccelli potrebbero addirittura essere in grado di “vedere” i campi magnetici. L’occhio destro di un uccello migratore, e solo il destro (!!!), contiene proteine fotorecettive chiamate criptocromi. La luce in arrivo eccita queste molecole, le quali producono elettroni spaiati che interagiscono con il campo magnetico terrestre, fornendo così informazioni direzionali.
Uno studio americano ha suggerito che i passeri migratori della savana usino la luce polarizzata da un’area del cielo vicino all’orizzonte per ricalibrare il loro sistema di navigazione magnetica sia all’alba che al tramonto. Quindi, secondo questo studio, la luce polarizzata naturale potrebbe essere il riferimento di calibrazione principale per tutti i passeriformi migratori.
Prima di concludere, è doveroso citare l’unico aspetto della loro vista che è inferiore al nostro: la capacità di distinguere i contrasti. Il contrasto è definito come la differenza di luminanza tra due aree di stimolo, divisa per la somma della luminanza delle due. La sensibilità al contrasto è l’inverso del contrasto più piccolo che può essere rilevato. Una sensibilità al contrasto di 100 significa che il contrasto minimo rilevabile è dell’1%. Gli uccelli hanno una sensibilità al contrasto relativamente inferiore rispetto ai mammiferi. È stato dimostrato che gli esseri umani rilevano contrasti fino allo 0,5-1% mentre la maggior parte degli uccelli testati richiede circa il 10% di contrasto per mostrare una risposta comportamentale.
Per concludere, anche se esistono eccezioni come i kiwi neozelandesi che hanno una vista piuttosto limitata (basandosi principalmente sull’olfatto), gli uccelli hanno capacità visive nettamente superiori alle nostre e a quelle della maggior parte degli altri animali. Gli uccelli vedono più colori di noi, fino all’UV, vedono “più velocemente” di noi, e possono mettere a fuoco più aree del campo visivo contemporaneamente. Con una vista 8 volte più acuta della nostra, un’aquila o un falco possono vedere una lepre da oltre 3 km di distanza, cosa per noi chiaramente impossibile. Non a caso si usa l’espressione “avere un occhio di falco”!
L’evoluzione gli ha donato degli occhi estremamente sofisticati, tanto che noi non siamo assolutamente in grado nemmeno di immaginare come gli uccelli vedano il mondo che li circonda, ma su una cosa ho pochi dubbi: credo che il mondo visto con i loro occhi sarebbe probabilmente incredibilmente più colorato, dinamico, e ricco di dettagli, qualcosa tipo 20K!
Gli uccelli sono animali straordinari!
A presto e grazie della lettura!
P.S.: dedico questo post al mio amico Paolo B., che mi legge sempre ;-).
Bellissimo post Martino. Ho imparato parecchie coese interessanti che non conoscevo. Complimenti! 🙂
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Grazie mille! Mi fa molto piacere😜
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Completo ed esaustivo, ottimo lavoro Martino!!
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Grazie!!!
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