La Revive&Restore è un’organizzazione no-profit californiana fondata nel 2012 che si occupa di genetica e biotecnologie, e che ha come obbiettivo quello di applicare al campo della biologia della conservazione le biotecnologie più avanzate disponibili, per cercare di salvaguardare la biodiversità del pianeta Terra. La Revive&Restore sta attivamente cercando sia di impedire l’estinzione di diverse specie a rischio, sia di riportare in vita specie estinte in tempi recenti a causa della cieca e ignorante avidità degli esseri umani.
Una delle specie più iconiche, e che più ci ha fatto rendere conto del nostro potere distruttivo, è il piccione migratore (Ectopistes migratorius), una specie endemica degli Stati Uniti centro-orientali, e dichiarata purtroppo estinta nel 1914.




Fino a 200-300 anni fa il piccione migratore era probabilmente l’uccello più numeroso sul pianeta, con un numero stimato in 5 miliardi di esemplari. Il suo appellativo, “migratore“, si riferiva alla sua peculiarità di spostarsi continuamente alla ricerca di cibo e di luoghi dove nidificare. Era un uccello molto gregario, e la cosa ancora più sorprendente è che quando migrava si spostava in stormi colossali, che contavano miliardi di individui. In pratica, quasi tutti i piccioni migratori esistenti migravano nello stesso momento! Secondo le testimonianze dell’epoca, il passaggio di questo stormo era un fenomeno di proporzioni gigantesche. Il sole veniva praticamente oscurato per ore, e l’intero stormo poteva impiegare anche 14 ore a passare completamente. Questi uccelli erano degli abili volatori, e migravano a una velocità di circa 100 km/h.

Anche se già venivano cacciati dai nativi americani prima dell’arrivo degli europei, la caccia di questi uccelli aumentò vertiginosamente dopo il nostro arrivo, specialmente nel diciannovesimo secolo. La sua carne era molto tenera e gustosa, e di conseguenza divenne in breve tempo una parte fondamentale dell’alimentazione umana, mentre le piume venivano usate per cuscini e materassi. In meno di 400 anni il piccione migratore passò dall’essere l’uccello più numeroso del pianeta ad essere un uccello estinto. Anche la deforestazione intensiva, che distrusse l’habitat di questa specie, fu una delle cause principali dell’estinzione.
Data la loro abbondanza, la carne di piccione migratore era anche molto economica. Questi uccelli erano poi estremamente facili da catturare in numeri enormi, vista la densità degli stormi, e durante un loro passaggio con un singolo colpo di fucile ben assestato era possibile abbattere anche decine di uccelli, e la stessa cosa valeva quando gli uccelli erano posati a riposare.

In ogni caso, la tecnica più efficace erano delle enormi reti tese a mezz’aria. Siccome questi uccelli migravano anche a bassissima quota (anche a 1 metro da terra!), con queste reti si riusciva a catturare una quantità immensa di uccelli. A Petoskey, una cittadina del Michigan, con queste reti nel 1878 riuscirono a catturare qualcosa come 50.000 piccioni viaggiatori AL GIORNO per 5 mesi consecutivi. Se la matematica non è un’opinione, questo corrisponde a più di 7,5 MILIONI di uccelli. Questi uccelli venivano perseguitati senza sosta: uccisi in volo, mentre riposavano di notte o di giorno, mentre covavano le uova, e venivano mangiati pure i loro piccoli e le uova stesse. Un vero e proprio genocidio aviano.

Dopo qualche decennio così, iniziava ad essere evidente che il numero di questi uccelli si stava riducendo velocemente, e spuntarono anche delle proposte di legge per tutelare questi uccelli. Tuttavia, molte di queste non vennero mai passate, e quelle che vennero approvate non venivano fatte rispettare. Tutti i tentativi di proteggere questa specie fallirono miseramente. Dopo il 1890 il piccione migratore era già diventato molto raro, ed era probabilmente già quasi estinto in natura. I pochi uccelli che venivano avvistati venivano abbattuti a fucilate senza alcuna pietà per accaparrarsi gli ultimi esemplari, magari da impagliare e vendere. Gli ultimi esemplari nidificanti vennero avvistati, e ovviamente catturati e uccisi, nel 1895 vicino a Minneapolis, mentre l’ultimo esemplare selvatico venne avvistato in Illinois nel 1901. E indovinate un po’ che fine fece? Non è difficile: ucciso e impagliato. Ora questo esemplare è ancora esistente, e si trova all’università di Millikin, sempre in Illinois.
Sfogo personale: la storia ci insegna (o dovrebbe insegnarci…) che gli esseri umani sono in media estremamente banali, ignoranti, superficiali, prevedibili. Questo nostro assurdo comportamento si è manifestato molte volte in casi simili: quando una specie era abbondante la caccia era massiccia e spietata, quando la specie poi diventava rara la caccia rimaneva comunque spietata, per avere trofei da esporre o vendere dato il valore salito alle stelle per quella specie. Alcuni esempi celebri sono ad esempio il tilacino della Tasmania o l’alca impenne del Nord Atlantico.
Tornando al piccione migratore, nel 1910 l’Associazione Ornitologica Americana offrì ben 3000 dollari dell’epoca, pari a oltre 83.000 dollari attuali, per chiunque fosse riuscito a trovare in natura un nido di piccione migratore. Ovviamente il premio non venne mai riscosso, dal momento che in natura di questi uccelli non ce n’era più neanche l’ombra.

In ogni caso, a fine ‘800 in cattività c’erano ancora molti esemplari vivi, sia in zoo che in voliere private, probabilmente qualche centinaio. Tuttavia, dal momento che all’epoca non esistevano assolutamente piani di riproduzione e reintroduzione per specie a rischio estinzione, già nel 1909 gli uccelli rimasti in vita in cattività erano soltanto tre, una femmina e due maschi, presso lo zoo di Cincinnati. I maschi morirono entro il 1910 e rimase quindi soltanto la femmina, di nome Martha. L’ultima della sua specie, sola al mondo. Martha, l’ultimo piccione migratore sul pianeta Terra, morì il primo settembre 1914, a ben 29 anni d’età. Martha venne prontamente imbalsamata, e ora potete andare a trovarla al Museo Nazionale di Storia Naturale, a Washington DC. Fonte

Dopo avervi raccontato questa storia straziante, torniamo alla Revive&Restore. Siccome le eccezioni all’ignoranza umana per fortuna ci sono sempre, grazie a organizzazioni come queste sarà forse possibile riportare in vita il piccione viaggiatore e molte altre specie che hanno fatto la sua stessa fine. Utilizzando campioni di DNA provenienti dai moltissimi piccioni migratori imbalsamati ancora esistenti (più di 1500), la Revive&Restore sta impegnando moltissime risorse per tentare la de-estinzione di questo uccello grazie alle più recenti tecnologie di sequenziamento e manipolazione del DNA. In particolare, uno dei punti chiave della de-estinzione del piccione migratore è il sequenziamento completo del DNA del piccione dalla coda a bande (Patagioenas fasciata), la specie ancora in vita più geneticamente vicina all’estinto piccione migratore.

In particolare, ecco le 5 fasi del processo di de-estinzione:
Fase 1: sequenziare il genoma del piccione dalla coda a bande e compararlo con i frammenti di genoma estratto dai piccioni migratori imbalsamati;
Fase 2: identificare le regioni del genoma del piccione ancora in vita da modificare;
Fase 3: editare il genoma del piccione ancora in vita;
Fase 4: far nascere il primo “nuovo” piccione migratore in cattività;
Fase 5: reintrodurre il piccione migratore in natura in modo strettamente monitorato, sperando che possa cominciare a riprodursi allo stato selvatico.
Detto così, sembra quasi facile, ma vi assicuro che non lo è affatto! Dopo aver sequenziato il genoma del piccione migratore (che è già stato fatto) bisognerà capire quali parti del genoma erano effettivamente espresse nell’animale vivo. E infine la sfida più grande, inserire opportunamente il genoma in un uovo fecondato di piccione dalla coda a bande e farlo schiudere. E’ davvero un percorso insidiosissimo e pieno di ostacoli. Prima di avere un piccione migratore vivo e sano, probabilmente nasceranno centinaia di uccelli con problemi genetici più o meno gravi, e che vivranno molto poco.
Attualmente il progetto è “solo” all’inizio della fase 3, ma sul loro sito ufficiale pubblicano annualmente un update sullo stato di avanzamento del lavoro. Durante le fasi 1 e 2 hanno sequenziato e pubblicato il genoma del piccione dalla coda a bande, e anche quello di ben 37 piccioni migratori, di cui 2 completi al 100%. Nella fase 3, hanno iniziato a modificare il genoma di piccioni domestici (Columba livia domestica) come “palestra”, per riuscire a capire se i geni modificati possano essere trasmessi naturalmente alle generazioni successive. In questo modo sarà possibile introdurre modifiche genetiche in fasi successive, ottenendo uccelli via via sempre più simili al piccione migratore ora estinto. Questi piccioni che incorporano DNA di un altra specie vengono chiamati “chimere genetiche”. Da qui si passerà poi al piccione dalla coda a bande, il candidato d’elezione per resuscitare il piccione migratore. Fonte
Il processo sarà lungo, ma ho buone speranze, e onestamente non vedo l’ora di vedere il primo piccione migratore della nuova era!
Nota finale: attualmente, il columbiforme più abbondante sul pianeta è sempre endemico del Nord America, ed è la tortora luttuosa (Zenaida macroura). Si stima che la sua popolazione conti circa 475 milioni di animali, quasi il doppio della popolazione mondiale stimata per il comune piccione cittadino. Paradossalmente, anche la tortora luttuosa è soggetta a pesante caccia, con circa 20 milioni di uccelli abbattuti ogni anno, ovvero il 4,2% della popolazione totale. Fortunatamente però questo uccello è estremamente prolifico, e non sembra risentirne particolarmente (per ora…). Tra l’altro questa specie è la più simile visivamente al piccione migratore, ma soltanto alla femmina, visto che la tortora luttuosa non presenta dimorfismo sessuale (a differenza del suo cugino estinto).

A presto e grazie della lettura!